Ristoratori, Petronilla Frosio punta su giovani e territorio

Il Gruppo ristoratori Ascom riunito per il rinnovo delle cariche
Il Gruppo ristoratori Ascom riunito per il rinnovo delle cariche

Petronilla Frosio è stata confermata presidente del Gruppo ristoratori dell’Ascom di Bergamo per il terzo mandato. Titolare del ristorante Posta di Sant’Omobono Terme e dell’Petronilla Hotel in città, 58 anni, esponente di una blasonata famiglia di ristoratori, componente del Consiglio camerale ed ambasciatrice per Bergamo di East Lombardy, la Regione Europea della Gastronomia 2017, l’imprenditrice è affiancata da un Consiglio direttivo rinnovato con cinque nuovi ingressi e sette conferme.

Vicepresidente è stato nominato Gigi Pesenti dell’Osteria Al Gigianca di via Broseta a Bergamo, già consigliere. Le new entry, in gran parte giovani, sono Ivano Gelsomino, del ristorante Selva di Clusone, Serena Maffioli della Trattoria Da Norberto ad Albegno di Treviolo, Andrea Cadei della Trattoria Da Nano di Foresto Sparso, Carla Mangili del ristorante pizzeria Giardino di Villa d’Almé e Giuseppe Cereda di Cucina Cereda di Ponte San Pietro. Confermati Romina Bolognini (Trattoria Bolognini, Mapello), Federico Bruno (La Caprese, Mozzo), Cristian Iuliano (I sapori… di terra e mare, Bergamo), Massimo Moioli (Villa Cavour, Bottanuco), Diego Pavesi (Albergo Della Torre, Trescore Balneario) e Roberto Proto (Il Saraceno, Cavernago).

1702 petronilla frosio - presidente ristoratori Ascom«Avevo detto che mi sarei fermata dopo due mandati e resto convinta della necessità di un ricambio all’interno del Gruppo – tiene a precisare Frosio -, perché ciò che fa crescere sono le idee e le forze nuove. Mi è stato chiesto di rimanere e lo faccio con la prospettiva di avvicinare e coinvolgere altri colleghi, soprattutto giovani, alla vita associativa. So che il lavoro impegna tantissimo, siamo piccole imprese ma i compiti e gli oneri sono in pratica gli stessi di quelle grandi e perciò dedicarsi all’attività sindacale è considerato sottrarre tempo all’azienda, ma posso affermare con sicurezza che non è così, se si sta in un’associazione e si crede in ciò che si fa, si porta a casa più di quanto si dà, in termini di esperienza, ampliamento della visione, capacità di leggere dietro la facciata e di capire cosa serve per raggiungere obiettivi anche in apparenza banali».

Per ampliare la partecipazione la presidente punta su un ruolo più attivo da parte dei Consiglieri e su nuove modalità di comunicazione. «Ad esempio tramite Whatsapp e messaggi mirati – spiega -. Le informazioni certo non mancano, ma non sempre gli operatori, per la marea di incombenze di cui si diceva, riescono a cogliere ciò che può essere interessanti per la propria attività, quindi messaggi più snelli o focus su alcuni argomenti possono essere utili».

Ed è così che il suo programma è cominciato, si potrebbe dire, prima dell’insediamento, con un incontro dedicato alle opportunità in tema di lavoro, credito e accesso ai bandi per finanziamenti agevolati, con Enrico Betti, responsabile dell’area Politiche del Lavoro dell’Ascom, e Antonio Arrigoni, direttore della cooperativa di garanzia Fogalco.

Intanto il settore a Bergamo continua a crescere. A fine 2016 ristoranti, pizzerie e trattorie hanno superato quota 1.200 (1.212), con un incremento del 3,7% rispetto allo stesso periodo del 2015, quando il totale si attestava a 1.169. In città l’incremento è superiore, si è passati in un anno da 180 a 192 insegne di ristorazione (+6,7%). Negli ultimi cinque anni il trend provinciale rispecchia quello nazionale. Nel 2012 le attività erano 1.029 per una crescita del 17,8%. A Bergamo il valore è quasi doppio (+34,3%), nel 2012 il settore contava infatti 143 imprese.

«Stanno cambiando le abitudini e si mangia sempre più spesso fuori casa – commenta Frosio – e si fanno avanti proposte e formule diverse, dalla ristorazione etnica alle grandi catene con locali da 200/300 coperti, ma ci sono anche ragazzi, talvolta con esperienze significative, che hanno scelto di mettersi in gioco e di aprire il loro primo ristorante. Il settore si sta diversificando e va bene perché sta crescendo anche il turismo ed abbiamo bisogno di un’offerta sempre più varia, per prezzi, prodotti e tipo di cucina». Ma è proprio dal moltiplicarsi delle proposte che risaltano con più evidenza la missione e le opportunità per la ristorazione “tradizionale”. «In uno scenario sempre più globalizzato, le tipicità sono quelle che servono ad un territorio per caratterizzarsi – sottolinea la presidente -, prodotti e piatti che non sono uguali a tutti gli altri e il turismo gastronomico, non dimentichiamolo, è un segmento importante del mercato a livello mondiale».

A concretizzazione a questa visione, che per Frosio è un vero e proprio “cavallo di battaglia”, c’è il progetto East Lombardy, ovvero il titolo di Regione Europea della Gastronomia che Bergamo, insieme a Brescia, Cremona e Mantova, può sfoggiare in questo 2017. «È un percorso che punta a mantenere e valorizzare le nostre radici, la nostra identità attraverso i prodotti e la cucina, l’intera filiera che va dalla terra alla tavola – ricorda -. L’aspettativa è che non si esaurisca con quest’anno ma che la sensibilizzazione e le reti realizzate su questi temi continuino, che diventi una modalità per valorizzare il proprio territorio. Certo ora tocca ai ristoratori cogliere l’opportunità, fare la propria parte».




Ristoranti italiani all’estero, l’albinese Belotti tra i top Usa del Gambero Rosso

Michele Belotti copertina Gambero Rosso UsaGiusto il tempo di festeggiare il primo compleanno del suo locale, Belotti Ristorante e Bottega a Oakland, costa est della Baia di San Francisco, che il trentenne bergamasco (di Vall’Alta di Albino) Michele Belotti è stato riconosciuto dal Gambero Rosso tra i “Top Italian restaurants in the world 2017”, la guida ai ristoranti italiani nel mondo che segnala i locali che sanno diffondere la cultura gastronomica e i grandi prodotti made in Italy, finendo poi sulla copertina dell’edizione internazionale della rivista.

In California dal 2011, già apprezzato a San Francisco, aprendo il suo locale Belotti ha bruciato le tappe conquistando giorno dopo giorno i consensi della critica a stelle e strisce. Della sua proposta vengono esaltati la pasta (la migliore dell’East Bay), gli gnocchi, i piatti con il tartufo, i brasati, la polenta. I maestri ai quali riconosce la sua formazione sono gli stellati Paolo Frosio dell’omonimo ristorante di Almé e Ugo Alciati e Luca Zecchin del piemontese Da Guido Ristorante.

In una intervista ad Affari di Gola del dicembre 2015, poco prima di intraprendere la propria avventura imprenditoriale, aveva raccontato anche della speciale passione per i prodotti bergamaschi, dallo stracchino di Vedeseta ai taleggi alla farina di mais Spinato di Gandino. E nel menù, naturalmente, non mancano i casoncelli (secondo la ricetta di mamma) e i tortelli di polenta taragna.

Il premio del Gambero Rosso – Best Trattoria – non fa che legittimare la sua scelta di valorizzare gli autentici sapori della cucina italiana.

 

 




Ristorazione, a Bergamo la raccolta degli oli esausti è semplice e gratuita

restaurants-1024x804Per i ristoratori di Bergamo smaltire gli olii esausti diventa più semplice. Il Comune di Bergamo promuove dal mese di aprile un servizio gratuito che agevola la gestione da parte dei commercianti e semplifica ulteriormente il servizio di ritiro degli oli esausti da ristorazione. Il servizio prevede il prelievo dei contenitori pieni a fronte della consegna di contenitori vuoti ed è rivolto anche alle attività ambulanti e di mercato.

Il servizio, curato da Aprica S.p.A., ha una valenza anche sociale: si avvale infatti di un operatore della Cooperativa Ruah di Bergamo.

I ristoratori e gli ambulanti che desiderano conferire gli olii vegetali al servizio pubblico, possono contattare Aprica S.p.A. al numero 035 351661–600 – o per mail a bergamo.preventivi.ambiente@a2a.eu (riferimento: Angelo Moretti). Aprica s.p.a. provvederà a organizzare il ritiro personalizzato al proprio esercizio commerciale.

In tema di normativa ambientale, si rammenta che è vietato espressamente lo sversamento degli olii vegetali all’interno della rete fognaria: caditoie stradali, vasche di sedimentazione, scarichi, etc.

Il produttore può conferire i propri rifiuti:

  1. Ad Aprica S.p.A. (gestore del servizio pubblico). In questo caso il produttore è esentato da qualsiasi incombenza;
  2. A una società terza autorizzata al trasporto e smaltimento/recupero dei rifiuti. In questo caso il produttore, se non vuole incorrere in sanzioni anche di carattere amministrativo, deve predisporre un formulario di identificazione del rifiuto, tenere il registro di carico e scarico, e fare la denuncia annuale (MUD). L’Amministrazione comunale procederà alla richiesta di trasmissione dei quantitativi annuali conferiti a terzi, in modo tale da poterli considerare nel novero dei rifiuti differenziati.
  3. Direttamente all’impianto di stoccaggio/recupero
    In questo caso il produttore deve avere l’autorizzazione al trasporto dei rifiuti in contro proprio (viene rilasciata dall’Albo Gestori Ambientali) e deve predisporre il Formulario di Identificazione del Rifiuto.

 




Imparare un mestiere nel settore food. Non è mai troppo tardi con i corsi Ascom

Corso Vorrei diventare pizzaiolo - Tiziano Casillo
Tiziano Casillo, docente del corso “Vorrei fare il pizzaiolo”

Pasticciere, pizzaiolo, barman, cuoco e banconiere di macelleria. Partono i corsi professionalizzanti di Ascom Formazione dedicati ad alcune delle figure più richieste nel mondo della ristorazione e del commercio.

«Ogni anno proponiamo corsi dedicati alle professioni più richieste dai nostri settori, sia come occasione di aggiornamento che come vero e proprio momento formativo in grado di insegnare un mestiere, grazie alla disponibilità di alcuni maestri del settore e di alcuni dei nostri presidenti di categoria. Sono lezioni in aula, molto impegnative, che arrivano anche a durare alcuni mesi – spiega Daniela Nezosi, responsabile dell’Area Formazione di Ascom Bergamo Confcommercio –. Lo scorso anno abbiamo formato oltre un centinaio di persone provenienti dagli ambiti più disparati. Tra i nostri corsisti abbiamo chi proviene dal settore e anche chi trova in queste attività un nuovo sbocco professionale, pertanto le nostre classi sono composte da persone diverse sia per provenienza, che per competenza e per età. Quest’anno, su richiesta dei nostri associati, abbiamo introdotto il corso dedicato al banconiere di macelleria, in quanto è una professione molto richiesta ed è difficile trovare personale capace».

Il primo appuntamento è con il corso “Vorrei fare il pasticciere”: dal 30 gennaio al 13 marzo, 74 ore con il maestro pasticciere Giovanni Pina, cofondatore e membro dell’Accademia Maestri Pasticceri Italiani e patron dell’omonima pasticceria a Trescore Balneario.

Dal 6 al 17 febbraio è in calendario “Vorrei fare il pizzaiolo”: 40 ore di lezione con Tiziano Casillo, chef-pizzaiolo, uno dei principali esperti a livello nazionale del prodotto pizza.

A marzo è in programma il corso “Vorrei fare il barman”: 19 lezioni (8 marzo/12 maggio) per imparare a gestire un bar o approfondire le proprie conoscenze. In cattedra un pool di esperti del settore, tra cui Giorgio Beltrami, presidente del Gruppo Caffè Bar di Ascom Bergamo Confcommercio e gestore dello storico Bar Centrale di Lovere, e Gabriele Aresi, consigliere del Gruppo Caffè Bar dell’Associazione.

Per chi vuole trasformare una passione in una professione, sempre a marzo, parte il corso “Vorrei fare il cuoco”: dal 12 marzo al 10 aprile, 116 ore di lezione con lo Staff dell’Accademia del Gusto e Francesca Marsetti, prima donna chef alla Nazionale Cuochi e noto volto televisivo de “La prova del cuoco”.

È in calendario ad aprile il corso “Vorrei fare il banconiere di macelleria”, 5 lezioni tenute da esperti macellai – Ettore Coffetti e Franco Meloncelli, rispettivamente presidente ed ex presidente del Gruppo macellai di Ascom – sulle tecniche di lavorazione delle carni.

Tutti i corsi si tengono all’Accademia del Gusto di Ascom Formazione in piazzetta don Gandossi 1 ad Osio Sotto.

Per informazioni: www.ascomformazione.it; info@ascomformazione.it; tel. 035 4185706.




Fuori casa, l’avanzata dei take away

takeaway

Il Rapporto ristorazione Fipe 2016, presentato ieri a Milano, fa il punto sui pubblici esercizi italiani. Nel nostro Paese nel 2016 è proseguito, secondo le stime dell’ufficio studi della Federazione, da un lato il calo dei consumi alimentari domestici (-0,1%), dall’altro l’incremento di quelli fuori casa (+1,1%) peraltro ben rilevato dallo stesso Indicatore dei Consumi Fuori Casa (Iceo) che sale al 41,8% dal 41,6% del 2015.

Si conferma, inoltre, il trend che vede un’Italia in controtendenza rispetto al resto d’Europa, dove al contrario i consumi alimentari fuori casa hanno registrato una significativa contrazione. Guardando all’Europa nel suo complesso, infatti, i consumi alimentari valgono 1.541 miliardi di euro suddivisi tra il 64,2% nel canale domestico e per il 35,8% nella ristorazione, con differenze notevoli tra Paesi. Si spazia dalla Germania, dove i consumi alimentari nella ristorazione rappresentano meno del 30% del totale, al Regno Unito (47%), alla Spagna (52%) e all’Irlanda (57%).

In Europa tra il 2007 ed il 2015 si è registrata una flessione dei consumi pari a circa 22 miliardi di euro ma nel nostro Paese la contrazione degli alimentari ha riguardato quasi del tutto il canale domestico, a differenza di quanto successo ad esempio in Spagna (-14,3 miliardi di euro) o nel Regno Unito (-7 miliardi di euro).

Ma chi sono gli avventori dei pubblici esercizi in Italia? Nel 2016, 39 milioni di italiani hanno consumato pasti fuori casa, così divisi: 13 milioni di heavy consumer, coloro che consumano 4-5 pasti fuori casa a settimana. Per lo più uomini (53,9%) di età compresa tra i 35 e i 44 anni (23,7%) e residenti al Nord Ovest (29,5%) in centri abitati tra i 5.000 e i 40.000 abitanti (36,8%); 9 milioni di average consumer, quelli che consumano almeno 2-3 pasti fuori casa a settimana. Sono in prevalenza uomini (51,7%), residenti in Centro Italia (29,1%) in centri abitati tra i 5.000 e i 40.000 abitanti (37,9%); 17 milioni di low consumer, che consumano pasti fuori casa 2-3 volte al mese. In questo caso si tratta in prevalenza di donne (54,8%), di età superiore ai 64 anni, residenti nelle regioni del Nord Italia, in centri abitati tra i 5.000 e i 40.000 abitanti (40,1%).

La giornata degli italiani

A colazione

6 italiani su 10 fanno colazione fuori casa. 5 milioni di italiani non rinunciano a cappuccino e brioche 3 o 4 giorni a settimana

colazione-cappuccino-croissantIl Rapporto Fipe passa in analisi la ripartizione dei consumi fuori casa durante l’arco della giornata. Dall’indagine emerge che più di sei italiani su dieci consumano, con diversa intensità, la colazione fuori casa: cinque milioni di italiani consumano fuori casa la colazione almeno 3 o 4 volte alla settimana, per quattro milioni si tratta invece di un rito quotidiano. Il locale per eccellenza dove gli italiani consumano la colazione è il bar/caffè, senza alcuna distinzione di genere, età o area geografica. Il bar/pasticceria è secondo in classifica per preferenza, preferito soprattutto dalle donne (65% contro il 57% degli uomini) e nel Nord Est (64%). Le alternative restano esigue, come i distributori automatici, scelti dal 17% dei consumatori. A colazione gli italiani spendono in media 2-3 euro; solo l’1,5% spende meno di un euro e in questo caso si tratta di heavy consumer.

A pranzo

Il 67% degli italiani pranza fuori casa durante la settimana, per 5 milioni di italiani è ormai un rituale, almeno 3-4 volte a settimana

spaghetti-amatricianaPassando al pranzo, la tipologia di consumo e prezzo relativo dipende in larga misura di giorni della settimana. Al 67% degli italiani, pari a poco meno di 34 milioni, capita di consumare il pranzo fuori casa durante la settimana, e per cinque milioni si tratta di un’occasione abituale (3- 4 volte alla settimana). I tre profili di consumatori si caratterizzano per evidenti differenze: gli “heavy” consumano il pranzo soprattutto al bar, mangiando un panino o un primo piatto, gli “average” e i “low” scelgono sia il bar che il ristorante preferendo la pizza. La spesa durante la settimana si concentra prevalentemente nella fascia 5-10 euro (45,5%). Nel week end luoghi, prodotti e spesa cambiano significativamente: ristoranti/trattorie e pizzerie scalano la classifica, preferiti rispettivamente dal 56,2% e dal 39,5% degli intervistati. La spesa sale nella fascia 10-20 euro con il 42,2% delle risposte.

A cena

Il 61,7% esce a cena almeno una volta al mese, 2 milioni di italiani escono 3 volte a settimana, in particolare in osterie e pizzerie

ristoranteArrivando a sera, l’analisi Fipe rileva che il 61,7% degli intervistati ha consumato almeno una cena fuori casa con riferimento ad un mese tipo. Poco meno di due milioni hanno cenato fuori casa almeno tre volte alla settimana, prediligendo soprattutto le osterie e, in seconda scelta le pizzerie. La fascia di prezzo di una cena tipo è tra i 10 e i 20 euro, anche se più di un terzo degli italiani riserva ad una singola cena dai 20 ai 30 euro. Solo un intervistato su cento è disposto a pagare più di 50 euro per consumare l’ultimo pasto del giorno. La disponibilità a pagare degli heavy consumer risulta significativamente differente rispetto ai “low”: i primi pagano in media tra i 20 e i 30 euro, mentre più del 50% dei low consumer si accontenta di una cena compresa nella fascia 10-20 euro. I residenti nel Nord Ovest si dimostrano più propensi a spendere: il 13,2% paga più di 30 euro per una cena tipo, percentuale che nel Sud e nelle Isole è inferiore al 5%.

La “demografia” dei pubblici esercizi

Calano i bar del 3,9%, aumentano del 35% i take away

In continua espansione si è dimostrata anche la rete dei pubblici esercizi, con un aumento dell’8,1% nel 2016 rispetto al 2008, pari ad un valore assoluto di +20.184 imprese. Guardando invece alle tipologie di esercizi i bar hanno registrato un calo del 3,9% a fronte di un aumento dei take away del +35%. Puntando l’attenzione sui centri storici, si è confermata inoltre la tendenza, emersa negli ultimi anni, ad una dequalificazione dell’offerta commerciale, con il rischio concreto di vedere depotenziata la forza competitiva dell’Italia nel mercato turistico internazionale: fortemente rafforzata, infatti, risulta la presenza di esercizi take away (+41,6%), cui fa da contraltare il calo dei bar (-9,5%).

Le dinamiche dell’occupazione

L’input di lavoro del settore dei pubblici esercizi conta oltre un milione di unità, misurato in unità di lavoro standard, mentre le ore lavorate sono rimaste al di sotto dei livelli del 2008. Rispetto a sei anni fa, invece, il settore ha assorbito circa l’1% in meno del fabbisogno delle ore complessivamente lavorate. La produttività delle imprese della ristorazione non solo risulta bassa, ma anziché crescere è diminuita risultando inferiore di quattro punti percentuali rispetto al 2009 anche se nel corso del 2015 si sono registrati segnali di recupero.

I prezzi

Per quanto riguarda i prezzi, nel mese di ottobre 2016, l’ultimo rilevato nel Rapporto, quelli dei servizi di ristorazione commerciale (bar, ristoranti, pizzerie, ecc.) hanno registrato un aumento dell’1% rispetto allo stesso mese del 2015 mentre per la ristorazione collettiva l’incremento è stato del 2%. Prendendo in esame l’andamento dei prezzi di alcuni prodotti di punta del consumo alimentare fuori casa, negli ultimi giorni è stata dedicata grande attenzione alla variazione dei prezzi nei quindici anni che intercorrono dall’introduzione dell’euro: prodotti di punta del consumo alimentare fuori casa, dalla pizza alla tazzina di caffè, sono diventati i principali bersagli della denuncia di aumenti straordinari e ingiustificati. Ad un’attenta analisi dei dati, invece, si giunge a conclusioni assai diverse. Nel 2002 la rilevazione del prezzo della tazzina di caffè al bar effettuata sui listini dei bar in diverse città campione forniva un prezzo medio di 1.533 lire, che convertite in euro davano 0,79. I prezzi rilevati dall’Osservatorio Prezzi a novembre 2016 sulle stesse città indicano un valore medio di 0,98 euro: il risultato è un incremento del 24%.

 




Al Gigianca, l’osteria in città

Anche se non ci sono le classiche tovaglie a quadretti bianchi e rossi e tavoli e sedie di arte povera, ad imitare i locali del passato, l’Osteria Al Gigianca, col sottotitolo di “premiata officina gastronomica”, si propone come autentica osteria in città, rispettando, debitamente aggiornati ai tempi, lo spirito e la cucina di questa tradizione. Un carattere riconosciuto anche dall’ultima edizione della guida Osterie d’Italia di Slow Food, dove è presente, unica segnalazione nel perimetro cittadino, dal 2014 e dove ha mantenuto il simbolo della bottiglia, a sottolineare la particolare attenzione alla carta dei vini.

Alessia Mazzola e Gigi Pesenti
Alessia Mazzola e Gigi Pesenti

Luigi “Gigi” Pesenti, 40 anni, e la moglie Alessia Mazzola, 38, hanno iniziato questa attività nel 2010 a Bergamo in via Broseta al numero 113, in una saletta luminosa, arredata con gusto, che può ospitare al massimo 40 coperti. Una dimensione che già di per sé suggerisce il loro orientamento verso un rapporto molto stretto con la clientela: la qualità, insomma, piuttosto che i numeri. A chiarire ulteriormente gli obiettivi c’è l’adesione al progetto SlowCooking, una rete di ristoranti lombardi che si riconoscono nei concetti di semplicità, valorizzazione delle materie prime, rispetto pragmatico per coloro che lavorano la terra, amore verso il proprio territorio.

«Alessia ed io venivamo da esperienze diverse – racconta Gigi Pesenti –. Io facevo il promoter di eventi anche musicali mentre lei è laureata in Scienze dell’educazione e per pagarsi gli studi lavorava in una pizzeria da asporto. All’inizio abbiamo avuto a disposizione uno chef professionista, che per sette mesi ha insegnato ad Alessia a gestire la cucina, poi abbiamo camminato con le nostre gambe. Visto che nella mia precedente attività ero parecchio in viaggio, nell’impostare la nostra linea mi sono rifatto a quello che mi piaceva trovare come cliente».

La carta di Al Gigianca è abbastanza contenuta ma di certo stuzzicante. Si tratta di una cucina che prende spunto dal territorio, da alcune ricette della tradizione magari con qualche variante, ma fondamentale è il riferimento al bacino per il reperimento delle materie prime. «Siamo molto legati alla stagionalità – prosegue Pesenti -. Per le verdure abbiamo il nostro orto a Locate, che viene coltivato dal papà di Alessia, e poi ci riforniamo da una cooperativa bio. In carta abbiamo solo pesce di lago mentre per il menù di mezzogiorno usiamo pesce azzurro nel rispetto della sostenibilità. Anche per le carni siamo attenti ai metodi di allevamento e produzione, vogliamo che gli animali siano rispettati, che si tratti di allevamenti etici».

al-gigianca-pecora-gigante-bergamasca-con-crema-di-patate-e-chutney-di-barbabietolaQuesti principi si concretizzano in una serie di piatti tra i quali spiccano il baccalà mantecato con crostini di polenta o la Caesar Salad con pecora gigante bergamasca tra gli antipasti, il risotto ai peperoni e patè di missoltino oltre agli immancabili casoncelli alla bergamasca tra i primi, mentre tra i secondi sono particolarmente gettonati il coniglio alla bergamasca con polenta, le lumache trifolate, la pecora gigante bergamasca con crema di patate e chutney di barbabietola e il filetto di lavarello del Sebino. I prezzi vanno dai 10-12 euro di antipasti e primi, ai 13-17 dei secondi, mentre per i dolci si spendono in media 6 euro.

al-gigianca-orto-autunno-2015«Abbiamo due menù degustazione (da 32 o 35 euro ndr.) – ricorda il patron – ed i clienti che vengono da fuori ci chiedono prevalentemente i casoncelli, la pecora bergamasca, il coniglio e il baccalà. Quanto ai vini, sono un appassionato e per questo ne abbiamo una buona selezione sia di italiani sia di altre nazioni come Francia, Germania, Austria, Slovenia, Spagna e Ungheria. Particolare riguardo dedichiamo anche ai formaggi, sempre di produzione locale, con la presenza di presìdi Slow Food».

E se Gigi si muove bene in sala, ai fornelli c’è Alessia, una passione per la cucina. «Passione e cuore sono i primi ingredienti – afferma convinta –. Io li ho ereditati da mia mamma Sandra che ha fatto la cuoca nelle mense scolastiche e le mamme dei bambini andavano a chiederle come mai a scuola mangiassero i broccoli e a casa no!». «Personalmente – spiega – seguo la tradizione e sono poco propensa ad innovare per forza, l’ispirazione mi viene da quello che vedo, da quello che trovo dai fornitori e da ciò che offre la stagione. Adesso, ad esempio, stiamo proponendo la tagliata di pecora gigante bergamasca, è ancora fuori dalla carta perché è un piatto che si esaurisce in fretta. La carne ce la porta la moglie del pastore, Danilo Agostini di Bolgare, che praticamente è in perenne transumanza. È un animale che mi dà grande sicurezza anche per il modo in cui viene allevato e poi pure della pecora non si butta via niente. Tolti i tagli nobili, con il resto si fanno il ragù e le polpette e con le ossa si fa il fondo». A dimostrare che anche il titolo di premiata officina gastronomica è pienamente meritato.

LA PROVA

Come d’abitudine assaggiamo la proposta per la colazione di lavoro. Al Gigianca il menù è inserito nella carta stessa ed è graficamente ben curato, soprattutto molto chiaro: un piatto 11 euro, due piatti 16 euro, due piatti più il dolce del giorno 19 euro. Coperto, acqua, un bicchiere di vino della casa e caffè sono compresi.

La scelta non è molto ampia in termini numerici ma è l’originalità dei piatti, non banali e nemmeno ricorrenti nei menù a prezzo fisso, a fare la differenza in senso positivo.

Crema di carote e zenzero con calamari e crostini alle erbe, maccheroncini ai broccoli e salsiccia, orecchiette alle cozze e fagioli sono le opzioni tra i primi piatti. Costine di maiale con verza e polenta e pesce del giorno (nell’occasione la trota), invece, le proposte per i secondi. Tutti piatti, soprattutto i primi, che stimolano la curiosità oltre all’appetito. Qualche attimo di indecisione e poi puntiamo sulle orecchiette alle cozze e fagioli e sulle classiche costine di maiale con verza e polenta che contenevano anche del buon cotechino.

Due piatti decisamente apprezzabili per scelta e preparazione che unitamente al servizio impeccabile e alla raffinatezza, non appariscente ma piacevole, del locale rendono il rapporto prezzo-qualità ottimo.

algigianca-salaOsteria Al Gigianca

via Broseta 113
Bergamo
tel. 035 5684928
chiuso la domenica tutto il giorno e il lunedi a pranzo



A Medjugorje l’hotel che parla e cucina bergamasco

Venanzio Poloni
Venanzio Poloni

A Medjugorje, in una zona tranquilla immersa nel verde, c’è da qualche mese un hotel in cui si parla bergamasco. Si chiama Stella Maris e a gestirlo c’è un seriano che in fatto di ristorazione la sa lunga. Classe 1956, Venanzio Poloni è albergatore da oltre 30 anni ed è titolare dell’albergo Centrale di Fino del Monte. Negli ultimi 20 anni ha accompagnato tantissimi pullman di pellegrini come capogruppo in vari santuari mariani. Di qui l’idea di lasciare la Valle Seriana per la Bosnia Erzegovina, per stare più vicino alla Madonna e trasmettere agli altri, anche attraverso il lavoro di ristoratore, la sua testimonianza cristiana.

È alla guida dell’hotel Stella Maris a Medjugorje dallo scorso primo aprile e sta già riscuotendo parecchi consensi tra i clienti, non solo per la qualità delle camere ma anche per l’ottimo servizio di ristorazione. Qui Poloni offre infatti molti piatti tipici della tradizione orobica, dai Casoncelli fatti in casa al capù con carne trita e verza. C’è poi la trippa bergamasca, che all’albergo Centrale di Fino del Monte è un classico da gustare in ogni periodo dell’anno e così a Poloni è venuta naturale l’idea di proporla anche a Medjugorje. «È stata una bella sfida ma i clienti apprezzano – rileva -. Nel menù ho tante specialità della mia terra d’origine capaci di dare conforto non solo agli italiani ma anche a inglesi, tedeschi, francesi, spagnoli, portoghesi».

hotel-stella-maris MedjugorjeQuella di Venanzio è una storia di fede, viaggi e cucina che parte da lontano. La sua è una famiglia di albergatori e fin da bambino è cresciuto respirando il profumo confortante dei sughi, degli intingoli e dei ripieni preparati tra le mura domestiche. Ancora adolescente, ha iniziato ad accumulare esperienze in giro per il mondo. Dopo aver studiato l’inglese a Cambridge, è diventato prima cameriere di bordo a Montecarlo e poi caposala sulle navi da crociera americane con destinazione Polinesia, Alaska, Caraibi. Tornato a casa, è diventato titolare dell’albergo storico di famiglia nel cuore di Fino del Monte ma la devozione alla Vergine Maria è da sempre il suo primo pensiero. Così è nato il progetto di aprire un luogo di sosta e ristoro per i pellegrini di Medjugorje. Nell’ampia sala da pranzo dell’hotel, si vedono ogni giorno gruppi di fedeli che pranzano spensierati, condividendo lunghi tavoloni imbanditi di specialità.

pranzo-preghiera- hotel - stella-maris - medjugorjeL’atmosfera è calda, accogliente. Spesso qualcuno prende la chitarra e intona una canzone per rendere omaggio a Gesù, trasformando un momento conviviale in una vera e propria festa. «A Medjugorje senti proprio la presenza soprannaturale della Madonna che poi ti dà la forza di andare avanti nella tua quotidianità», spiega Poloni. La conversione di fede di quest’uomo semplice e spontaneo ha colpito anche la scrittrice clusonese Angela Grignani Scainelli che nel 2013 ha raccolto la testimonianza di Venanzio e l’ha trasformata in un libro dal titolo “A Medjugorje Dio ha Parlato al Mio Cuore” (Edizioni Paoline). In questo testo vivido e profondo trapela tutta la devozione di Poloni che ogni giorno, attraverso il suo lavoro e la sua fede, ama donare tempo e risorse al prossimo.




Ristoratori / «Un anno positivo grazie anche agli eventi»

La ristorazione saluta con rinnovata energia il nuovo anno, dopo un 2016 di grandi soddisfazioni: «Quest’anno è tornata la voglia di uscire, c’è tutto un altro spirito ad accompagnare la voglia di sedersi attorno ad un tavolo – commenta soddisfatta Petronilla Frosio, presidente del Gruppo Ristoratori dell’Ascom di Bergamo -. Sono tornate le cene aziendali, da anni tra le prime voci di spesa ad essere tagliate dai budget, e i grandi eventi organizzati sul territorio hanno portato turisti e visitatori».

Bergamo sta vincendo la sfida di destagionalizzare il turismo, anche se può fare ancora di più: «Floating Piers ha risollevato la stagione in provincia, mentre in città I Maestri del paesaggio, il Festival donizettiano e l’ormai tradizionale appuntamento con BergamoScienza continuano a portare turisti. Anche gli “abbracci” organizzati per le Mura e per le luminarie portano tanti curiosi e fanno parlare della nostra città. Gli eventi funzionano al meglio, ma spesso si sovrappongono tra loro, come accade a settembre con una concentrazione di appuntamenti: ci vorrebbe una cabina di regia a coordinare il tutto per distribuire le iniziative lungo tutto l’anno».

Petronilla Frosio è presidente dei Ristoratori Ascom
Petronilla Frosio è presidente dei Ristoratori Ascom

Sarà un Natale di festa, pronto a spazzare via il pessimismo da recessione che ha oscurato fino all’anno scorso l’atmosfera sotto l’albero, grazie anche ai turisti: «A Natale fino a qualche anno fa gli alberghi erano vuoti, ora le prenotazioni non mancano e l’effetto Orio ha finalmente ricadute positive anche in città. A Bergamo gli stranieri trascorrono almeno una notte, non sono solo di passaggio via Orio, e oltre a visitare la città fanno acquisti e pranzano e cenano nei ristoranti, generando un indotto positivo», evidenzia Frosio.

In molti ristoranti bergamaschi si sono già chiuse le prenotazioni e a tavola vince la tradizione: «Tanti locali sono già al completo da settimane, un ottimo risultato visto che negli ultimi anni le prenotazioni last-second hanno avuto la meglio. Il pranzo di Natale resta il momento clou per festeggiare, ma grazie agli stranieri crescono le presenze per la Vigilia. Nei menù trionfano tradizione e territorio, attraverso la celebrazione di piccole produzioni locali, a partire dai formaggi, vero orgoglio bergamasco».

La sensazione è che anche a Capodanno non si rinunci al classico Cenone: «Credo che il 2016 si chiuderà positivamente, per iniziare col piede giusto il nuovo anno, che si preannuncia interessante grazie a East Lombardy, un evento dalle grandi aspettative per la categoria».




Sulle tracce della trippa

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È una delle zuppe più tipiche e succulente della tradizione orobica. In brodo, in umido, con una spolverata di parmigiano o accompagnata da una fetta di polenta, la trippa è un gustoso misto di frattaglie, verdure e spezie che di recente sta tornando in voga sulle tavole di molti ristoranti. Piatto unico per eccellenza fin dai primi del Novecento, questa pietanza nel corso degli anni ha vissuto alterne fortune. Già, perché l’idea di mettere sotto i denti le viscere di un bovino di certo non piace a tutti. Se da un lato le vecchie generazioni non hanno mai smesso di apprezzarla, dall’altro c’è anche una folta schiera di giovani pronti a storcere il naso appena ne sentono pronunciare il nome.

Eppure, superato lo scetticismo iniziale, anche i più schizzinosi dopo il primo cucchiaio si convertono irreversibilmente al gusto tondo e confortante della trippa. Negli anni del boom economico questa minestra del quinto quarto è stata accantonata dai ristoratori orobici che la ritenevano troppo povera e di non facile preparazione nell’era frenetica del benessere. Da qualche tempo, però, la trippa è tornata timidamente a farsi viva, soprattutto in quei locali che hanno scelto di rispolverare le radici attraverso i piatti tipici della tradizione. Osterie valligiane, trattorie di città ma anche ristoranti stellati la propongono sempre più spesso, nel menù del giorno o da asporto, nei periodi più freddi dell’anno. Persino rinomati chef internazionali, come il britannico Gordon Ramsay e il suo omologo in “Cucine da incubo” Antonino Cannavacciuolo stanno cavalcando la crociata della trippa servita nelle sue molteplici varianti, da un ruspante panino fino a una più raffinata trippa di agnello con tempura di gamberi rossi. E così da piatto nazional-popolare di sagre e feste di paese, questa specialità d’altri tempi si è tramutata in un piatto intrigante, che mette d’accordo tutti, o quasi.

LA TRADIZIONE

trippa-la-ciotolaAll’inizio del Novecento erano soprattutto gli uomini che frequentavano le osterie di paese con cucina casalinga a richiedere la trippa. Nelle trattorie della Bergamasca erano ammessi solo clienti maschi e sposati che, dopo le nozze, erano soliti fare un salto al ristorante per ricevere una sorta di investitura assaggiando un cucchiaio di trippa. Le donne invece in osteria entravano soltanto per riempire la pentola e portare a casa il cibo.

Ancora oggi in tante case e ristoranti dell’alta Valle Brembana, la vigilia di Santa Lucia equivale al pentolone di trippa, la cosiddetta büsèca, che bolle sul fuoco dal primo pomeriggio. All’agriturismo Ferdy di Lenna, per esempio, questa specialità non manca mai in inverno. La preparano tagliata a pezzetti con piedino di vitello disossato, fagioli bianchi e pomodoro fresco. Può essere servita come minestra oppure come secondo piatto, accompagnata da un contorno di polenta bergamasca.

O SI AMA O SI ODIA

ol-giopi-e-la-margiLa trippa è una zuppa di verdure miste e frattaglie costituite dall’apparato digerente dei bovini, fra l’esofago e lo stomaco. Per questa ragione la sola descrizione la rende assai poco appetibile ed anche l’autorevolezza di molte buone forchette fatica a convincere ad un assaggio i più restii. Come spiega Alioscha Foglieni, co-titolare del ristorante Ol Giopì e la Margì di via Borgo Palazzo: «Noi serviamo la trippa da oltre vent’anni. Non la toglieremo mai dal menù perché amiamo valorizzare le tipicità bergamasche e la trippa fa parte dei sapori tradizionali della nostra cultura. La prepariamo con sedano, carote, cipolla, pomodoro, patate e fagioli. Per farla conoscere anche ai più scettici abbiamo pensato di proporla come antipasto all’interno di una selezione di cinque assaggini misti del nostro territorio. Così molti clienti dopo averla provata ne rimangono colpiti e ci chiedono di averla come piatto di portata. Anche i turisti la provano e la apprezzano».

BERGAMASCA, MA NON SOLO

Ferdinando Testa
Ferdinando Testa

Veneta, romana, toscana o genovese, quasi ogni regione e provincia ha la sua ricetta per la trippa. Si va dalla trippa di Brescia in brodo di verdure alla “busecca” alla milanese, passando attraverso la trippa calabrese “ara carvunara”, solo per citarne alcune. Paninozzi croccanti con lampredotto o fette di pane sciocco e trippa solleticavano i palati dei fiorentini già ai tempi di Lorenzo de’ Medici. In provincia di Torino c’è persino la Confraternita della trippa che vanta origini trecentesche. La versione originale della trippa alla Bergamasca è in brodo. Tuttavia ogni cuoco ha la sua ricetta. «Per una trippa perfetta – spiega Ferdinando Testa, titolare con la sorella Antonella del ristorante La Ciotola di viale Papa Giovanni – consiglio di utilizzare interiora di qualità e un mix di verdure di stagione e spezie. La cottura dev’essere lunga e lenta: servono circa tre ore. In generale più la trippa cuoce e meglio è. I nostri nonni dicevano che il giorno dopo è ancora più buona».

UN GUSTO INTERNAZIONALE

In antichità i greci cucinavano la trippa alla brace, i romani invece la utilizzavano per preparare salsicce. Ma anche oggi questa pietanza è presente nelle cucine tradizionali di tutto il mondo. Al nord della Francia, in Normandia, si fanno la Tripes à la mode de Caen o la Tripes en brochette de la Ferté-Macé mentre al sud c’è il Pieds et paquets, una gustosa specialità marsigliese. La trippa si trova anche in Romania, sia in umido (Chkémbè tchorba) che in brodo (Ciorba de burta), e in Medio Oriente (İşkembe). C’è poi il ristoratore bergamasco Venanzio Poloni che è riuscito a portare la trippa alla bergamasca fino a Medjugorie: apprezzatissima dai pellegrini, è diventata una delle pietanze di punta del suo Hotel Stella Maris insieme al capù di verze. Anche Ferdinando Testa conferma la propensione degli stranieri per questo piatto tipico: «Per molti anni la trippa era scomparsa dal nostro menù – evidenzia -. Il nostro è un locale di grande passaggio turistico e ci si era convinti che un piatto così non avrebbe funzionato. Di solito era più ricercato nelle trattorie tipiche bergamasche. Tuttavia da un anno a questa parte abbiamo deciso di rivoluzionare il nostro menù andando alla scoperta delle pietanze della tradizione, trippa compresa. È stato un successo – rivela -. A ordinarla sono soprattutto i clienti dai cinquant’anni in su che vanno alla ricerca dei sapori della loro infanzia, mentre i giovani restano molto scettici. La trippa è molto amata anche dagli stranieri, soprattutto da chi proviene dai Paesi nordici, inglesi ma anche dai francesi, che in fatto di zuppe la sanno lunga».

IN CUCINA

Ai fornelli ogni chef ha il suo stile nel preparare la trippa. Celebre è per esempio il foiolo del ristorante Lio Pellegrini di via San Tomaso accompagnato da una fetta di polenta grigliata. Rispetto ad altre preparazioni tradizionali, la ricetta di Giuliano Pellegrini è più leggera. Per iniziare niente aglio, pancetta o lardo ma solo olio d’oliva e due piccole cipolle anziché il mezzo chilo di un tempo. Anche la cottura cambia: due ore anziché quattro. Vincenzina Salvi, cuoca dell’albergo Centrale di Fino del Monte punta invece sul gusto delle verdure e degli aromi. Per quanto riguarda la carne, oltre allo stomaco della mucca, la cuoca mette il ginocchio di maiale per dare più sapore: «Una buona trippa dev’essere fresca. La carne va fatta bollire bene con una spruzzata di acqua e aceto. Poi metto in pentola a freddo tutti gli ingredienti. Con gli ortaggi di stagione e le erbe ci si può sbizzarrire. Personalmente metto di tutto tranne i piselli o le carote perché sono troppo dolci. Nella mia trippa c’è anche il ginocchio di maiale, un’aggiunta che nella ricetta originale non è prevista. Infine metto la passata di pomodoro, salvia, rosmarino, prezzemolo e alla fine regolo con il sale, ma senza esagerare perché più la zuppa bolle più diventa saporita. A tavola c’è chi la aggiusta la trippa con il pepe, il peperoncino, i crostini di pane o il parmigiano. Io consiglio di consumarla al naturale, senza formaggio perché rende la trippa più acida falsandone il sapore».

IL PIATTO DEL GIORNO

Susi Assolari e Walter Brembilla
Susi Assolari e Walter Brembilla

Per lo chef Walter Brembilla della trattoria “Come una volta” di Desenzano Albino preparare la trippa per i clienti è una gioia, come conferma la titolare Susi Assolari: «Da sei anni a questa parte abbiamo scelto ottobre come il mese della trippa. È un piatto molto particolare, non piace a tutti, quindi non lo teniamo nel menù tutto l’anno ma solo per un periodo limitato, sia a tavola che da asporto, in concomitanza con la festa della Beata Vergine del Miracolo della Gamba. Quando c’è, però, la ordinano in molti. Grazie al passaparola arrivano da noi parecchi clienti soltanto per assaggiare la trippa. Se qualcuno ce lo chiede con anticipo al momento della prenotazione, gli possiamo preparare la trippa su richiesta. Il nostro chef adora cucinarla anche se il procedimento è lento e lungo». All’albergo Centrale di Fino del Monte la trippa non manca mai, nemmeno nei mesi caldi: «Preparo trippa in umido tutti i giorni, estate e inverno – conferma la cuoca Vincenzina Salvi –. Qui da noi è sempre disponibile nel buffet e la si può mangiare a volontà. Piace moltissimo».

FRESCA O PRECOTTA

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Fabio Magri

In lattine, tetrapak o bustone surgelate, tra gli scaffali del supermercato o nel banco frigo spuntano parecchie confezioni di trippa adatte a chi non ha tempo di mettersi ai fornelli. Bastano pochi minuti al microonde per ottenere una zuppa fumante come al ristorante. Metodi culinari rapidi che tuttavia piacciono poco a Fabio Magri, titolare della macelleria Magri di Chiuduno: «C’è stato un momento storico in Italia in cui abbiamo perso la tradizione delle nostre nonne e abbiamo optato per una cucina veloce. Si è progressivamente affermato un predominio della tecnologia alimentare di stampo industriale sui metodi più tradizionali. Per molti cucinare è diventato soprattutto l’atto di scaldare qualcosa di già pronto e surgelato. Con il cibo in scatola è un altro pianeta, ci sono troppi conservanti. Per fortuna da qualche tempo la gente sta ritornando alle radici, prestando più attenzione agli ingredienti sani».

I nomi e le preparazioni

trippa-per-box-nomiBUSECCA: dal tedesco Butze, è il nome lombardo, perlopiù milanese, usato anche in Bergamasca. Prevede l’utilizzo di tutti i tagli dei prestomaci, dello stomaco e perfino della prima parte dell’intestino (quello che i romani chiamano pajata).

CUFFIA: altro nome del reticolo, di forma globosa.

FOIOLO: (detto anche millefoglie o libro) identifica l’omaso, ovvero la parte che molti ritengono la migliore sia in cottura sia per il gusto delicato. I piatti che ne prevedono l’utilizzo esclusivo ne prendono il nome.

LAMPREDOTTO: nome fiorentino della trippa ricavata dall’abomaso, ovvero lo stomaco. È un tipico cibo da strada, ideale per farcire panini. Prende il nome dalla lampreda, un’anguilla primordiale di cui ricorda la forma e il colore.

RICCIA: è il nome più diffuso della trippa ricavata dalla parte più pregiata dell’abomaso (detto anche gala). È caratterizzata dalla presenza di creste violacee che conferiscono alla trippa un sapore più intenso.

Qualche indirizzo dove gustarla

In città: La Ciotola (viale Papa Giovanni) – tutto l’anno; Ol Giopì e la Margì (via Borgo Palazzo) – tutto l’anno; Trattoria Lozza (via Madonna del Bosco) – da ottobre a febbraio.

In provincia: Trattoria Moro da Gigi (Desenzano di Albino) – da ottobre a maggio nel menù del giorno e da asporto; Trattoria Come una volta (Desenzano di Albino) – nel mese di ottobre in occasione della festa della Madonna della Gamba e su prenotazione durante l’anno; Hosteria del Vapore (Carobbio degli Angeli) – piatto del giorno da settembre a marzo; Antica Locanda (Clusone) – una volta al mese come piatto del giorno; Albergo Centrale (Fino del Monte) – tutti i giorni dell’anno; agriturismo Ferdy (Lenna) – nei periodi freddi e in occasione di Santa Lucia; Al Platano da Gira (Foresto Sparso) – piatto del giorno nei periodi più freddi dell’anno; Polisena “L’altro agriturismo” (Pontida) – nel menù autunnale; Albergo ristorante Da Gianni (Zogno) – serate a tema nel mese di novembre.

Le sagre: Festa della trippa di San Pellegrino (Santa Croce) – settembre; Sagra del Casoncello d’autunno a Strozza, con sfida tra casoncello, trippa e pizzoccheri – metà ottobre.

 




Il premio/ Vesuvio, quattro fratelli paladini della pizza e dei sapori del Sud

Domenica 18 dicembre alla Fiera di Bergamo è avvenuta l’assegnazione del Riconoscimento del Lavoro e del Progresso economico, il premio della Camera di Commercio di Bergamo, giunto alla 56esima edizione. Sono state consegnate quattro benemerenze e 82 premi a coloro che, con l’esempio di una vita dedicata al lavoro, hanno contribuito con impegno costante alla crescita dell’economia locale, nei diversi settori economici.

Nella categoria imprese – con più di 33 anni di ininterrotta e benemerita attività, sia in forma individuale sia in forma societaria – i premi sono stati 14, quattro dei quali ad attività commerciali. Si tratta del fiorista F. lli Ravasio di Bergamo (77 anni e 5 mesi), il negozio di calzature di Francesco Pezzoli di Villa d’Ogna (68 anni e 4 mesi), del Panificio Vanotti di Bergamo (54 anni e 7 mesi) e del ristorante pizzeria Vesuvio di Bergamo (46 anni e 1 mese).

Ecco la storia del ristorante pizzeria Vesuvio

vesuvioLa data di nascita ce l’ha scritta nell’indirizzo internet, www.vesuvio1970.it. Facile perciò fare il conto: il ristorante pizzeria Vesuvio di via Borgo Santa Caterina ha 46 anni e la Camera di commercio gli assegna il riconoscimento per la lunga carriera. Lo si sa, del resto, che è uno dei locali storici per la pizza a Bergamo e per la cucina mediterranea, ideale completamento di una proposta tutta ispirata ai sapori del sud.

A fondarlo sono stati Giovanni Ferrara e la moglie Oliva Filomena, originari di Tramonti, il comune in provincia di Salerno che ha dato i natali a tanti pizzaioli sparsi per il mondo, con una buona rappresentanza anche in terra bergamasca. Poi la gestione è passata nelle mani dei quattro figli, Salvatore, Teresa, Alfonso e Luigia, che si sono divisi i compiti tra amministrazione, cucina e forno della pizza. La sede è sempre stata lì, alla fine (o all’inizio per chi viene dalla Valle) del Borgo d’oro, ma si è prima rinnovata, negli anni Novanta, e poi ingrandita, negli anni Duemila, raddoppiando la capienza a 250 posti.

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Salvatore Ferrara

«Che cosa ci ha permesso di arrivare a questo traguardo? Semplice, lavorare da mattina a sera», afferma con schiettezza Salvatore Ferrara. «La pizza, naturalmente, è il nostro punto di forza – prosegue -. Adesso c’è la tendenza a trasformarla in un piatto gourmet con ingredienti e abbinamenti ricercati. Noi invece continuiamo a prepararla nel modo tradizionale, puntando sulla selezione delle materie prime e la preparazione accurata. Del resto, con una clientela così ampia e consolidata come la nostra è difficile pensare di proporre cambiamenti netti, non ci si può scostare troppo dalla linea che ha sempre caratterizzato il locale. Le novità le inseriamo gradualmente, abbiamo cominciato con gli impasti integrali, ora ci stiamo muovendo per il senza glutine». Quando parla di clientela consolidata vuole dire di generazione in generazione, con i bimbi di un tempo che tornano con i propri figli. «Il resto della proposta è rappresentato dalla cucina mediterranea con piatti soprattutto di pesce e citerei anche i dolci – conclude – quasi tutti fatti da noi».