Il traffico merci in Italia è finalmente in ripresa: dopo dieci anni di calo, nel 2014 è tornato il segno più (+0,5%), mentre nel 2015 e nel 2016 la crescita sarà dell’1,6%.
Eppure i problemi del settore continuano ad essere evidenti, anzi c’è addirittura l’imbarazzo della scelta. Tra i tanti salta agli occhi un evidente problema di concorrenza, determinato anche da regole ambigue e da scarsi controlli, a scapito degli autotrasportatori italiani: tra il 2003 e il 2013 la quota delle merci entrate in Italia trasportate da operatori dell’Europa orientale è cresciuta di addirittura il 600% e supera ormai il 47%, mentre era meno del 7% nel 2003.
La quota degli autotrasportatori italiani si avvicina, invece, al 15%, quando nel 2003 era pari a quasi il 33%. Ma non si può certo trascurare altre storture che sanno di autolesionismo, come il fatto che tra il 2000 e il 2012 gli investimenti nei trasporti sono scesi del 47% (da 20 a 10 miliardi) o che nei nostri centri urbani si continui a viaggiare “a passo di lumaca”, con una velocità media è di 15 km/h, la stessa di fine ‘700…
Di tutto questo, e di altro ancora, si è parlato nel corso del quarto convegno annuale sui trasporti organizzato a Roma da Confcommercio, dal titolo “L’Italia disconnessa”, nel corso del quale è stato presentato il rapporto “Analisi e previsioni per il trasporto merci in Italia”, realizzato dall’Ufficio Studi confederale.
Dallo studio, illustrato dal responsabile Mariano Bella, emerge il malessere delle imprese italiane di autotrasporto: se una quota già ridotta di imprese “nostrane” ha mostrato ricavi in crescita negli ultimi sei mesi (6,9%), neppure la metà di questa frazione è espressa dalle imprese di autotrasporto.
Allo stesso tempo, se tra le imprese appartenenti a tutti i settori il 10,1% prevede ricavi in crescita (il 56% invariati, un terzo in riduzione) soltanto il 2% delle imprese di autotrasporto indica la prospettiva di ricavi crescenti nei prossimi sei mesi. Il tutto in una situazione, seppure parziale e ancora insoddisfacente, di ripresa: nel 2014 il settore è, come detto, tornato a crescere (+0,5%) e nel 2015 e nel 2016 è prevista una crescita dell’1,6%.
È finita, insomma, la fase discendente del trasporto merci, ma la strada da recuperare è eccezionalmente lunga. Le perdite in termini di tonnellate-chilometro sono state del 21,6% tra il massimo del 2005 e il minimo del 2013. Rispetto ai massimi, alla fine del 2016 i livelli saranno inferiori ancora del 18,7%.
Male, molto male, anche l’occupazione, se si pensa che il 97% della caduta occupazionale del trasporto merci tra il 2008 e il 2012 è da ascrivere proprio all’autotrasporto (27mila unità su 27mila e 900), soprattutto nelle imprese più piccole.
Ma se si può indicare nell’autotrasporto il “grande malato” del comparto, altrove non è che la situazione sia brillante, tutt’altro. Bastano pochi dati: per esportare un container occorrono 19 giorni e 1.195 dollari in Italia contro i 9 giorni e 1.015 dollari della Germania; il traffico su ferrovia riguarda 19 miliardi di tonnellate-chilometro contro i 122 della stessa Germania; la rete autostradale è pari a 1,81 km ogni 10mila vetture contro i 6,61 della Spagna.
Eppure, i trasporti sarebbero davvero la “chiave” della ripresa: riducendo solo del 10% tempi e costi medi di trasporto, il Pil crescerebbe dello 0,7%. Come se ne esce? Serve una cura drastica che Confcommercio ha declinato in cinque proposte: creazione del Registro internazionale dell’autotrasporto; individuazione dei porti strategici, sviluppo dell’intermodalità dei collegamenti terrestri e potenziamento delle Autostrade del Mare; apertura di notte dell’Alta Velocità al trasporto merci tramite la realizzazione della “metropolitana italiana delle merci”; trasporto su ferro dei Tir che arrivano via mare nei nostri porti dal Mediterraneo e che trasportano merce destinata all’estero; avvio di una strategia nazionale in favore dell’accessibilità e della mobilità urbana.